di Trifone Gargano
Lo scrittore, saggista e critico letterario Pietro Citati è morto pochi giorni fa, a 92 anni. Ha firmato saggi e biografie memorabili, per la storia della letteratura italiana e mondiale (da Tolstoj a Leopardi, tanto per citarne solo due). È stato ampiamente ricordato, in questi giorni, su tutti i più importanti net-work del Paese, per il valore e per l’importanza della sua opera, e del magistero svolto.
A me, qui, interessa ricordarlo, con commozione, facendo riferimento a un episodio personale, che mi permise, allora giovanissimo (avevo meno più di trent’anni), di entrare in contatto diretto con lui, e di ricevere da lui, in modo così spontaneo e generoso, e senza alcuna mediazione, preziose informazioni su Domenico Nicolai (1778-1842), un patriota pugliese, che, scappato dal Regno di Napoli, trovò rifugio, nel suo triste e drammatico esilio, a Marsiglia, nella cerchia dei fuoriusciti politici (tra i quali, lo stesso Giuseppe Mazzini). Muovevo, in quegli anni giovanili, i miei primi passi nella ricerca storico-letteraria, professore già entrato nei ruoli dell’insegnamento, e, spinto dall’incoscienza tipica di quegli anni, e dalla passione che già allora caratterizzava la mia dedizione agli studi e alla ricerca storico-letteraria. Ebbene, dopo aver letto il (bel) romanzo di Pietro Citati, Storia prima felice, poi dolentissima e funesta, edito nel 1989 da Rizzoli, gli scrissi, chiedendogli ulteriori notizie e informazioni su un personaggio di quel suo romanzo storico, ambientato a Marsiglia, che io identificavo proprio con il pugliese Domenico Nicolai. Pietro Citati, ricevuta la lettera, mi rispose prontamente e con tanta generosità di indicazioni per proseguire la mia ricerca, che, non solo mi stupì e mi riempì di gioia, mi diede la cifra del titanismo umano e intellettuale che lo caratterizzava. Autentico maestro. Questo l’Italia ha perso, il 28 luglio scorso, un grande, autentico (e raro) maestro.
Domenico Nicolai, quinto marchese di Canneto di Bari (oggi, Adelfia, con l’unione con Montrone, giusto Decreto del 1927), patriota liberale e fiero oppositore dei Borboni, deputato al Parlamento napoletano del 1820-1821, entrò nella pagina del romanzo di Citati, Storia prima felice, poi dolentissima e funesta (1989), come personaggio certamente minore, ma di primaria importanza per lo sviluppo narrativo di quella storia. Già allora mi colpì, leggendo, per puro caso, il romanzo di Citati, che uno dei più importanti scrittori italiani incontrasse e ospitasse nel suo universo fantastico (e reale), il marchese di Canneto, il nostro Domenico Nicolai, tratteggiandolo come figura nobilissima, ancorché isolata, negli ambienti del fuoriuscitismo politico marsigliese di quegli anni. Gli anni del pre-risorgimento italiano. Gli anni, tristi, della prima ondata della emigrazione politica italiana, che avrebbe conosciuto, decenni dopo, ben altre stagioni (e tutte tristissime).
La vicenda personale di Domenico Nicolai uscì dall’anonimato nel 1820, allorquando, cioè, accettò, non senza qualche perplessità, la candidatura al Parlamento napoletano. Con tragica preveggenza, egli, accettando quella candidatura, scrisse, in un quadernetto di appunti (ancora inedito):
«Signori, accetto il vostro mandato […]. La famiglia mia sarà distrutta, ed io non tornerò più»
Profezia che, purtroppo, si verificò. Nicolai fu il solo deputato di quel Parlamento napoletano che, con coraggio, si oppose a ogni tentativo di conciliazione con il re Ferdinando I di Borbone. L’unico che non otterrà mai, nemmeno dai successori di Ferdinando I, il perdono, peraltro mai richiesto da Nicolai, e il permesso di rientrare in patria, e che morirà, appunto, in esilio, a Marsiglia. Nel 1836, infatti, furono amnistiati ben 55 fuoriusciti napoletani, come testimonia direttamente Giuseppe Mazzini, in una lettera di quegli anni, giudicando il provvedimento come atto “positivo”. Ma Nicolai non figurava tra quei 55 amnistiati. Del resto, Ferdinando II, successore sul trono napoletano, giudicò, in un atto pubblico, il Nicolai come non degno di perdono, perché «immoderato nelle discussioni parlamentari». Lo stesso Ferdinando II dispose pure il divieto assoluto di pubblicazione degli scritti di Domenico Nicolai, intimando al possessore delle “carte” del marchese Nicolai, il colonnello avellinese Lorenzo De Concilij (suo erede testamentario), di consegnarle alle regie istituzioni.
L’emigrazione politica, seguita al fallimento della rivoluzione del 1820, e alla conseguente (e feroce) repressione, valse a inserire in maniera organica alcuni intellettuali napoletani in un orizzonte culturale e politico nazionale. Questo accadde a Domenico Nicolai, che, a Barcellona prima, e a Marsiglia, poi, entrò in contatto diretto con altri emigrati e fuoriusciti politici degli altri Stati italiani pre-unitari, del calibro di Giuseppe Mazzini. Nel 1830, Nicolai pubblicò, a Marsiglia, un libretto politico, Considerazioni sull’Italia, nel quale, per primo, parlava della triade (unità, indipendenza, libertà), che poi Mazzini, suo lettore, avrebbe rilanciato nella Giovine Italia (come ha dimostrato, in termini storici e filologici, nei suoi libri e saggi, Alessandro Galante Garrone, storico del Risorgimento italiano):
«L’Italia sparpagliata in piccoli stati, l’Italia serva dello straniero riconquisterà una triade di meraviglie nella unione, nella indipendenza, nella libertà del suo popolo»
[Domenico Nicolai, Considerazioni sull’Italia]
Di quest’opera di Nicolai esistono, ad oggi, due sole edizioni a stampa: la prima, del 1862, curata da Vito Pappalepore Nicolai; la seconda, del 1931, curata da Alessandro Galante Garrone. Il manoscritto autografo di quest’opera di Nicolai giace, ancora oggi, in un Fondo della Biblioteca Nazionale di Napoli.
Il romanzo di Pietro Citati, Storia prima felice, poi dolentissima e funesta, è ambientato nel mondo dell’emigrazione politica italiana del primo Ottocento, e narra la storia d’amore tra il bisnonno e la bisnonna paterni dello scrittore, Gaetano Citati e Clementina Sanvitale. È quindi in questa cornice storico-narrativa (e affettivo-sentimentale) che trova posto Domenico Nicolai, esiliato politico a Marsiglia, tra il 1829 e il 1842, anno della sua morte. Sarà proprio Domenico Nicolai a dare a Jacopo Sanvitale, padre di Clementina, rassicuranti informazioni sul giovane (esiliato) Gaetano Citati, e sulla sua famiglia, favorendo così l’unione tra i due ragazzi. Motore narrativo, dunque, dell’intera storia, prima felice, tra Gaetano e Clementina, poi, dolentissima e funesta.