La focara

Focara

La focara: la storia della festa del fuoco a Novoli.

La festa che i novolesi tributano al loro Santo Protettore inizia il 7 gennaio, con il Novenario, per terminare il 18 gennaio, con la festa di tutti i cittadini (festa te li paisani). Giorni importanti della festa, però, sono il 16 ed il 17 gennaio, nei quali si svolgono tutte le manifestazioni e gli spettacoli che oramai sono balzati all’attenzione di tutta la Regione e di gran parte del Sud Italia e che richiamano migliaia di visitatori e pellegrini.
Una festa, questa, che affonda le proprie radici nell’antica venerazione dei novolesi per il “Santo del fuoco”, il cui culto fu ufficializzato, il 28 gennaio del 1664, quando il vescovo dell’epoca, Mons. Luigi Pappacoda, concesse l’assenso canonico alla supplica dell’Università e del clero e dichiarò S. Antonio Abate protettore di Novoli.

Soffermandoci sulla “festa del fuoco”, cercheremo di fare un paragone con il passato, tentando di sottolineare le principali modifiche, e soprattutto di illustrare tutte le manifestazioni che caratterizzano i giorni della festa. Per la buona riuscita della manifestazione, ogni anno si costituisce un “comitato” festa, spesso confermando quello dell’anno precedente. Per “comitato festa” s’intende un gruppo di cittadini novolesi che si riuniscono spontaneamente, con il compito di raccogliere i mezzi in denaro o in natura per assicurare alla festa il miglior successo. In passato si usava chiedere ai cittadini, in prevalenza durante le domeniche, un obolo; si girava, perciò, cu lu cippu (salvadanaio), per le case del paese, chiedendo un’offerta in denaro da sfruttare per l’organizzazione della festa del Santo.

Al “comitato” spettava anche il difficile compito della raccolta del necessario per la costruzione della focara, che spesso iniziava il 17 dicembre, esattamente un mese prima della attesissima festa. Si vedeva perciò, tra i vicoli del paese, il carretto, condotto da un ragazzo che giornalmente raccoglieva legna secca, rami d’alberi, tralci di vite legati in fasci, ma anche oggetti combustibili in disuso, rovinati o rotti (tuttu è buenu pè la focara) che piccoli contadini, grossi proprietari terrieri o semplici cittadini offrivano in devozione al Santo. Un importante documento parla di uno dei primi comitati, quello della festa del 1868, il quale non si formò spontaneamente, ma venne eletto dall’Amministrazione Comunale

 

santantonioAltre manifestazioni importanti, di carattere religioso, della festa novolese sono la benedizione degli animali e la processione. La cultura popolare attribuisce a Sant’Antonio Abate la facoltà di proteggere tutti gli animali da stalla e da cortile. Il Santo, infatti, secondo la leggenda, fu un porcaro. Nell’iconografia egli è rappresentato con accanto un porcellino e con in mano un bastone con un campanello, utile per richiamare gli animali. Anche questo rito è cambiato negli anni. Nei giorni di festa, negli anni ’40, nel paese girava lu ‘ntunieddru (diminutivo dialettale di Antonio), un maialino con un fiocco rosso al collo che qualche devoto acquistava generalmente alla Fiera di Campi e che girovagava indisturbato nel paese e tra le campagne, mangiando e facendo ciò che voleva. Lo stesso che, successivamente, veniva sorteggiato durante la festa.

Un’altra manifestazione importante era la distribuzione da parte del parroco dei “panini di S. Antonio”, la quale avveniva sul sagrato della chiesa. I panini, consegnati ai contadini e agli allevatori, venivano fatti mangiare agli animali malati, i quali, nella maggior parte dei casi, guarivano. La benedizione degli animali avviene, ogni anno, nel primo pomeriggio della Vigilia, prima della processione. Nel piazzale antistante la Chiesa sono molti i novolesi che portano i loro animali domestici (cani, gatti, uccelli, cavalli) per ricevere la protezione di Dio, ma soprattutto del Santo Patrono. La fine della benedizione è accompagnata da rintocchi di campane e fragorose salve, segni questi che danno inizio alla processione del simulacro del santo, che si snoda tra le vie del paese. La statua è portata a spalla da devoti, i quali offrono somme abbastanza alte per avere questo onore, e dietro di essa si formano due ali interminabili di folla, che accompagnano il simulacro.

Anche il rito della processione ha subito delle modifiche. In passato, infatti, migliaia di uomini e di donne percorrevano, forse per una grazia ricevuta, l’intero percorso della processione scalzi e tenendo in mano dei grossi ceri,formando la lunghissima intorciata (‘nturciata). I “candelotti” avevano un peso di non meno di dieci libbre, anche se alcuni, particolarmente grandi, i sugghi, pesavano oltre cinquanta libbre. La processione continuava la mattina del 17 gennaio con la sola partecipazione dei forestieri che avevano fatto voto, i quali accompagnavano la statua del santo fino alla Chiesa Matrice, dove si teneva il panegirico. Durante questa processione veniva sparata la strascina, una lunghissima batteria che terminava con uno sparo più potente e fragoroso, il quale doveva coincidere con l’arrivo della statua in piazza Mercato, antistante la Chiesa Matrice.

Non viene effettuata più la fragorosa strascina, ma durante la processione vengono sparati dei colpi isolati con cadenza regolare. L’attuale processione si conclude con il ritorno del Santo in P.zza S. Antonio Abate, salutato da artistiche bengalate e lancio di palloni di palloni aerostatici. Successivamente il Santo rientra nella sua Chiesa e viene riposto sul trono addobbato con vari drappeggi e cornici floreali. La fine della processione porta al momento culminante della festa, la focara, il simbolo più conosciuto della festa del fuoco che di anno in anno diventa sempre più famosa in Italia ed inizia e destare tanta curiosità anche nelle altre parti del Mondo.

Il 18 gennaio è la cosiddetta festa te li paesani, giorno in cui i novolesi, liberi dalla massa di visitatori e pellegrini, si godono gli ultimi momenti della festa. Così, tra le ultime visite alla focara, oramai quasi terminata, e un panino cu li turcinieddri, tra una bengalata in p.zza S. Antonio e i palloni aerostatici, la “festa del fuoco” si conclude tra la soddisfazione e i progetti per la festa dell’anno successivo.

 

La focara nel tempo

La prima focara, secondo alcune fonti, è attestata nel 1905, quando “una nevicata abbondante imbiancò il falò alla vigilia della festa”. Altre testimonianze nelle quali si fa riferimento al falò sono il 1912 (riportate dal D’Elia), il 1926 (riportate dal Bertacchi), il 1928 (riportate dallo Sbavaglia) ed il 1938 (riportate dal De Leo).

 

La costruzione della focara inizia all’alba del 7 gennaio, anche se il “comitato” provvede all’organizzazione, alla raccolta e al trasporto dei fasci di vite già dall’inizio del mese di dicembre, per essere conclusa a mezzogiorno della Vigilia, momento, questo, salutato da una roboante salva e da rintocchi di campane. Il falò è formato da fascine di tralci di vite (sarmente) recuperati dalla rimonta dei vigneti, le quali vengono accatastate con perfetta maestria e con tecniche tramandate gelosamente di generazione in generazione. In media per costruire un falò da venti metri circa di diametro per altrettanti di altezza occorrono dalle 80.000 alle 90.000 fascine (ogni fascio è composto da circa duecento tralci di vite, i quali sono legati tradizionalmente con del filo di ferro).

La raccolta delle leune, termine con cui si indicano i fasci donati per la costruzione del falò, inizia, come abbiamo accennato, il 17 dicembre con il trasporto di queste sul piazzale dove deve essere costruita la focara. Fino agli anni ’50 questo rito si consumava davanti al Santuario, poi è stato spostato in p.zza G. Brunetti, per essere nuovamente trasferito, per motivi di sicurezza e forse definitivamente, in p.zza T. Schipa. Anticamente l’enorme catasta di legna secca aveva quasi sempre la forma conica ed era costruita con particolari tecniche che solo i maestri (pignunai) potevano conoscere, le quali venivano usate anche quando si conservava il raccolto nei covoni.

Altra antica usanza era quella di issare sulla cima del falò un ramo di arancio con diversi frutti pendenti (la marangia te papa Peppu), il quale era colto dal giardino di un prete del luogo. Con il passare del tempo sono cambiate molte abitudini, sono cambiati molti costruttori e soprattutto sono cambiate le forme della focara, la quale non si presenta più sotto forma di cono, ma assume sempre forme diverse e molto impegnative. Negli ultimi anni, infatti, sono state costruite focare piramidali, a torta (diversi strati circolari sovrapposti), con la galleria (un tunnel nel centro del falò, in cui il giorno della processione passa anche la statua di S. Antonio Abate), con oblò e pinnacoli.

Per la costruzione di una focara occorrono 100 persone circa abbastanza abili per restare ore in piedi sui pioli delle lunghe scale e passarsi l’uno sull’altro al di sopra della testa i fasci, che poi giunti in cima vengono sistemati perfettamente dal costruttore. Proprio sulla cima, la mattina della Vigilia, viene issata un’artistica bandiera, sulla quale è un’immagine del santo, che successivamente brucia insieme al falò. L’onore dell’accensione del falò spetta al presidente del comitato o al Sindaco, anche se negli ultimi tempi molti sono gli ospiti “illustri” che presenziano la magica sera del 16 gennaio. L’accensione avviene attraverso una batteria – fiaccolata; una volta accesa, la focara arde per tutta la notte tra le migliaia di persone che, tra musica popolare e fumi di arrosti delle bancarelle presenti in piazza, assistono allo splendido spettacolo delle fasciddre, le caratteristiche faville che librano nell’aria creando una “pioggia di fuoco”. Il 17 gennaio, inoltre, tra i novolesi ricorre l’usanza di non ‘ncammarare. Si pranzare, a base di pesce e bisogna astenersi obbligatoriamente dal mangiare carni e latticini. I piatti tipici del giorno sono gnocchi in zuppa di baccalà o di pesce, scapece (pesce condito con zafferano, pangrattato e aceto), frutti di mare, pittule, purciddhruzzi e cartiddhrate, dolci delle festività natalizie, tutto accompagnato dal moscato o dal rosolio locale.

I giornali della festa: i “numeri unici” e satira e attualità

Il 17 gennaio è anche “il giorno dei numeri unici novolesi”, i giornali umoristici locali, Le Fasciddre te la focara e Sant’Antonio e l’Artieri, i quali sono giunti rispettivamente alla 41a e alla 27a edizione e costituiscono le fonti di importanti informazioni sul culto, sulle tradizioni, sul folklore e sulla devozione verso il “santo del fuoco”. Il primo numero unico “La Focara” nacque nel 1947 per merito dell’avv. Enzo Ramondini e fu stampato fino al 1957, grazie anche alla collaborazione di Beppe Valentini e Romeo Franchini. Nel 1949 nacque un altro giornale “Sant’Antoni neusciu” che scomparve anch’esso nel 1957, in seguito alle polemiche nate tra le redazioni. Nel 1955 fu stampato “Sant’Antonissimo Nuesciu”, un numero straordinario pubblicato per il centenario della festa. Il 1960 fu l’anno de “Lu peurcu te Sant’Antoni nuesciu” redatto da Enzo Rossi, modificato l’anno dopo in “Lu puercu”, per poi scomparire definitivamente. Il 17 gennaio 1962 nacque “La Strascina”, mentre nel 1970 fu stampato solo per un anno “Sant’Antoni, nui…e la focara arde”.

Altri giornali con la stessa sorte furono “Sant’Antoni te lu fuecu” stampato nel 1986, “Lu Teatru Comunale” e “Sant’Antoni e… lu Teatru Comunale”, pubblicati nel 1995 e nel 1996 dall’Associazione Culturale “Il Pozzo”. “Le Fasciddre te la Focara” e “Sant’Antoni e l’Artieri”,quindi, sono gli unici giornali ancora esistenti. Il primo fu fondato nel 1963 con direttore – responsabile Vito Pellegrino. Dal 1978, invece, questo giornale fu redatto dal Gruppo Teatrale “La Focara”, che nel 1992 pubblicò “le Fasciddre te la Focara – 30 anni di Satira”, una cronistoria di fatti, storielle e personaggi novolesi dal 1963 al 1992. “Sant’Antoni e l’Artieri”, invece, nacque nel 1977 quando il “comitato festa” fu composto da artigiani; da allora il giornale è stato sempre pubblicato senza mai interrompersi. Altre pubblicazioni si sono aggiunte a quelle storiche, tra cui La cernia e Lu Furgularu giornali di satira e pettegolezzi locali.

Festa della Vite del Parco del Negroamaro

E’ la manifestazione che sostiene e celebra l’inizio della costruzione della “Focara”, quale bene culturale riconosciuto dalla Regione Puglia nel Protocollo d’Intesa, consegnando alla stessa il più alto valore aggiunto in termini di comunicazione visiva. La manifestazione testimonia annualmente la rinnovata condivisione di obiettivi pubblico – privati per la promozione del territorio dell’area del Nord Salento, ormai area del “Parco del Negroamaro”. Momenti della manifestazione sono la presenza di tutti i sindaci dei comuni che formano il comprensorio Nord Salento, la presenza degli alunni dell’Istituti Comprensivi del territorio e l’originale elezione del “viticoltore distintosi nell’anno”.

Testo tratto dal sito ufficiale del comune di Novoli.

Accensione Focara Novoli edizione 2012

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