Il pane di Altamura
Siamo in Puglia, precisamente ad Altamura dove da sempre si coltivano quelle antiche tradizioni contadine che fino ai giorni nostri hanno caratterizzato la cultura e l’alimentazione del popolo forgiando quello che più di ogni altra cosa lo indentifica: il pane. Con Vito Casamassima, gastronomo e dottore in scienze dell’alimentazione, fondatore del progetto Gnamit, abbiamo ripercorso brevemente la storia di questo alimento unico e che ci riconduce alle porte dell’antica città federiciana.
Tra storia e tradizione
Da sempre il pane è il simbolo della vita, il fulcro di tradizioni, di religioni e di storie di popoli del mondo. Non solo alimento universale alla base della alimentazione umana ma cibo dall’ elevato valore simbolico capace di integrare un povero nella società ed escludere un barbaro dalla civiltà. La storia del pane deve le sue grazie sia a Madre Natura che alle antiche massaie che hanno custodito gelosamente e senza interruzione di continuità gli ingredienti, le forme e le tradizioni. È il frutto di tolleranza e di confronto tra le genti diverse che hanno abitato questo territorio, un viaggio lunghissimo che parte probabilmente dalle fertili terre Egiziane e giunge fino ai giorni nostri.
Dal grano al pane, dal grano alla terra, dall’uno e l’altra all’acqua, al fuoco, i primi elementi e princìpi fondamentali del mondo. Il sole, la terra, il vino, l’ulivo, il pane sono le fondamenta del “pensiero meridiano contadino” e della storia del Mezzogiorno Italiano. Il pane come il Corpo di Cristo, il vino come il Sangue di Cristo e l’olio Vigore di Cristo, sono anche i simboli che nel Medioevo con l’avvento del Cristianesimo, la liturgia ha reso sacri. Gli indispensabili strumenti dei diffusori della nuova fede. Il pane che sazia il ventre e che sazia l’anima.
In una comunità in cui le differenze sociali si evidenziavano in tutti i modi possibili, il cibo diviene uno dei principali elementi di distinzione. Il pane consumato dai cittadini nobili di frumento tenero mentre quello mangiato dalla plebe “nero”, impastato con farine grezze o altri cereali. Con la modernizzazione della rivoluzione industriale i mulini ottennero miglioramenti e la “panificazione bianca” divenne comune.
Tuttavia degli attuali processi tecnologici della moderna panificazione dei giorni nostri, poco sapevano quelli che pure lo hanno preparato per millenni. L’acqua che si lega all’amido, l’amido che diventa zucchero e lo zucchero più semplice, che ad opera dei lieviti, accresce l’impasto e lo rende poroso affinché, attraverso la cottura, la scorza caramellizzando possa consolidarsi lasciando all’interno quella morbida e giallastra mollica che alla fine di tutto caratterizza un pane comune ma specifico per il suo aspetto, sapore, profumo e forma: il pane di Altamura.
Il Pane DOP di Altamura
Sebbene le qualità che legano questo pane al territorio vengono attestate alla più recente certificazione di denominazione d’origine del 2003, secondo Vito Casamassima le qualità di questo pane affondano le loro radici ancor più indietro nel tempo. Testimonianze della bontà di questo pane infatti si ritrovano nelle Satire del poeta Orazio della vicina Venosa (PZ) che, nella primavera del 37 a.C., nel rivisitare presumibilmente il paesaggio marginale della sua infanzia, annotava l’esistenza del pane migliore del mondo definendolo “longe pulcherrimus”.
Ancora oggi, pur in un mutato sistema sociale, commerciale e tecnologico come recita il disciplinare di produzione, si conservano in maniera sostanziale gli ingredienti, le fasi di lavorazione e le forme di quell’antico pane.
Forme di grande pezzatura ottenute con semola rimacinata di grano duro di specifiche varietà e coltivato in un territorio ben delimitato. Il lievito madre popolato dalla biodiversità unica dei microrganismi che in questo territorio, conferiscono al pane le caratteristiche ineguagliabili di cui gode. Sale e acqua, alla fine di un processo di lavorazione articolato in cinque fasi: impastamento, formatura, modellatura e cottura al forno a legna. Il pane così prodotto è considerato di qualità unica, un vero e proprio patrimonio agroalimentare italiano di cui vantarsi, capace ancora oggi e probabilmente per l’eternità di saziare non solo il corpo ma anche la mente.