Cartellate e vincotto
a cura di Trifone Gargano
Le cartellate pugliesi e il vincotto
Da noi, in Puglia, “vincotto” è, innanzitutto, il mosto (novello) di uva cotto. Prodotto indifferentemente da uve rosse e/o bianche. Il vincotto altro non è che la riduzione (a fuoco lento) del mosto novello, che raggiunge la consistenza di uno sciroppo (fino a ‘filare’, tra pollice e indice), utilizzato, specialmente, per la preparazione di dolci natalizi (ma anche di bibite).
Prodotto già dagli antichi romani, il vincotto (noto anche come mosto cotto) era conosciuto nelle due varianti, rispettivamente, del “sapa” e del “defrutto” (in base alla diversa concentrazione ottenuta). Secondo Columella (lo scrittore romano del I sec. d.C., che si occupò di agricoltura e che scrisse un De re rustica), il mosto d’uva ridotto di un terzo prende il nome di “defrutum“; invece, prende il nome di “sapa”, allorquando è ridotto della metà.
In passato, altre tipologie di ‘vincotto’ venivano ottenute dalla cottura (e, quindi, dala concentrazione) del succo di altri frutti dolci, come la melacotogna, i fichi, le carrube (impropriamente detto vincotto, in quanto, come abbiamo già chiarito, esso non derivava dall’uva, bensì da altra frutta).
In Puglia, il vincotto (quello d’uva, ma anche quello di fichi) viene utilizzato per la preparazione di dolci tipici della nostra tradizione: cartellate e biscotti (neri).
Ricordo, inoltre, da bambino, di aver gustato granite artigianalmente (e amorevolmente) preparate da mio padre, con la neve appena caduta (e raccolta sul terrazzo di casa), condite con il vincotto (rigorosamente d’uva, la nostra uva di Adelfia).
La tradizione popolare
Le cartellate (dette anche péttue), nella tradizione popolare cristiana, rappresenterebbero le fasce (in forma di aureola) che avvolsero il bambino Gesù (il Re dei Re) nella sua povera culla di Betlemme (non è, comunque, nemmeno da escludere il riferimento alla futura corona di spine, che cingerà il capo di Gesù al momento della sua passione e crocifissione). Probabilmente, il nome deriverebbe dalla loro forma arabesca (di corona ‘incartellata’).
La preparazione delle cartellate avviene componendo nastri di una sottile sfoglia di pasta, ottenuta con farina, olio e vino bianco, unita e avvolta su se stessa, fino a formare, per l’appunto, una “rosa” (o ‘corona’), dalla inconfondibile forma arabesca, che successivamente viene fritta in abbondante olio (d’oliva).
Ecco la ricetta
Per la pasta:
Kg. 1 di farina 00
gr. 100 di olio evo
gr. 200 di vino bianco secco
il succo di 2 arance
1 pizzico di sale
Per la guarnizione della cartellata passata nel vincotto:
cannella
chiodi di garofano
zucchero
Come preparare le cartellate
Versare a fontana la farina sulla madia, creare al centro un cratere e aggiungere tutti gli ingredienti previsti.
Lavorare gli ingredienti sino ad ottenere una pasta omogenea e setosa. Non aggiungere altro liquido, anche se appare difficoltoso raggiungere l’omogeneità, in quanto una massa troppo morbida non consente di realizzare le roselline che assumerebbero un aspetto “crollato”, le pareti dei forellini devono essere sostenute.
Ottenuto l’impasto realizzare uno strato sottile che sarà poi tagliato strisce (precisazione superflua, è per completezza che lo scrivo).
Realizzate le roselline lasciarle seccare per circa 24 ore e friggerle in olio bollente. Se il quantitativo realizzato di cartellate è notevole si possono conservare secche e friggerle nel momento in cui servono. In questa maniera saranno sempre fresche e croccanti.
Passarle nel vino cotto o miele, riscaldati evitandone il bollore, badando di non farle stare a lungo perché altrimenti potrebbero ammorbidirsi.
Sistemarle in un piatto a strati (non in un contenitore chiuso perché perdono subito in fragranza) e cospargere ogni strato realizzato con cannella mista a pochi chiodi di garofano e zucchero passati nel mortaio.
P.S. per chi utilizza la storica macchina IMPERIAL l’impasto si effettua posizionando la ghiera che determina la maggiore distanza tra i rulli. Per stendere la pasta, per la formazione delle roselline, la distanza tra i rulli deve essere la minima. Lo spessore della pasta sarà influenzato anche dal livello di morbidezza e umidità che solo l’esperienza può aiutare a comprendere.