Zeppole e tavolate di san Giuseppe
a cura di Trifone Gargano
In molte regioni del centro-sud (Sicilia, Puglia, Abruzzo), è ancora oggi presente la tradizione delle così dette “tavolate” di san Giuseppe. Si trattava della consuetudine di offrire un pranzo, da parte delle famiglie benestanti, ai poveri, invitandoli alla propria ‘tavolata’ (in memoria del rifiuto di ospitalità che Giuseppe, Maria e il bambino Gesù avevano ricevuto).
Questa antica tradizione, che in molte località della Puglia si rinnova ancora oggi, era (ed è) accompagnata da altri due elementi tipici: le zeppole e i falò.
Nella cultura popolare, san Giuseppe, in realtà, è poco presente (il nome è molto diffuso, ma la presenza popolare, attraverso cioè la diffusione di aneddoti e di racconti che reinterpretino, più o meno fedelmente, la sua vita e i suoi ‘miracoli’, è piuttosto scarsa, come, invece, accade in altri casi, con una sorprendente ricchezza di racconti, di leggende, e di aneddoti). Eppure, san Giuseppe, sposo di Maria, madre di Gesù, e padre putativo di Gesù stesso, dovrebbe occupare un posto molto più rilevante. Anche nei testi sacri (alludiamo, ovviamente, al Nuovo Testamento), la sua presenza è limitata, quasi occasionale.
Quando Gesù inizia la sua attività pubblica, tanto per fare un solo rinvio testuale, di san Giuseppe non si parla per niente (molto probabilmente, a quella data, dev’essere già morto). Valga, per tutti, l’esempio dell’episodio (notissimo) delle nozze di Cana, allorquando si registra il primo miracolo di Gesù; ebbene, nel Vangelo si legge solo di Maria, che accompagna Gesù al matrimonio, e che intercede presso di lui affinché dia un (primo) segno del suo potere.
Ad ogni modo, nella tradizione popolare, san Giuseppe è il patrono dei lavoratori (ma anche dei moribondi e dei poveri; così pure delle ragazze da marito), e la sua festa ricorre il 19 marzo; cioè, grosso modo, con la fine dell’inverno. Nella cultura contadina, questa ricorrenza si è caricata anche di un significato legato ai riti (pagani) della purificazione. Di qui, la consuetudine di allestire enormi falò, con cataste gigantesche di legna (e con residui dei campi). Con la festa di san Giuseppe, viene salutato definitivamente l’inverno, e si inizia a sentire, nell’aria, il profumo della imminente primavera.
Del resto, il fuoco ha sempre rappresentato, nella cultura popolare, l’immagine del rito di passaggio: passaggio tra le stagioni fredde e quelle calde dell’anno; ecc. Il potenziale distruttivo che, generalmente, viene associato al fuoco (si pensi all’incendio), non sempre è indice di evento negativo o luttuoso); esso, al contrario, spesso, indica un evento positivo, proprio perché rappresenta la distruzione di tutto ciò che terrorizza, o che angoscia, una comunità (per questa ragione, per esempio, nei roghi, spesso, viene bruciato anche un fantoccio, una strega).
Con il fuoco di san Giuseppe, viene bruciato l’anno passato (l’inverno), ma anche i dolori, le sofferenze, le disgrazie, tutto.
Il culto, la devozione popolare dei santi (la “pietà popolare”), svolge un ruolo molto importante, di mediazione tra Dio (che è, sì, Dio-padre, ma che è distante da noi), e la terra, cioè il popolo tutto, che ha bisogno di segni concreti, di testimoni concreti, di contatto quotidiano (come può essere un falegname).
Di qui, anche, la consuetudine cattolica di realizzare le statue dei santi (e non solo in chiesa, ma anche nelle case dei privati), e di portarli in processione. Tutto ciò avvicina l’umanità al divino (o, meglio, avvicina il divino all’umano), fino a comunicare con il divino, proprio attraverso il culto dei santi.
Nella iconologia popolare, san Giuseppe viene raffigurato con un giglio, perché già nell’Antico Testamento il giglio ha ispirato simboli di bellezza, di fertilità e di purezza. Perfino nel Cantico dei cantici, la sposa (immagine di Israele) attende lo sposo (che è il Signore stesso) come un giglio, destinata, la sposa, a fiorire proprio come fiorisce il giglio.
Le zeppole, come abbiamo già chiarito, sono l’altro segno (tangibile) della festa di san Giuseppe.
Le modalità di preparazione delle zeppole variano da regione a regione; nell’Italia meridionale viene detta zeppola di san Giuseppe, rigorosamente preparate con acqua, strutto, sale, farina, limone e uova; fritte o al forno, decorate con crema pasticcera e impreziosite con tre amarene.